
“Il prossimo Giubileo sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella di Dio.
Ci aiuti pure a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali,
nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato.
La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza,
annuncio di cieli nuovi e terra nuova, dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli,
protesi verso il compimento della promessa del Signore”.
(Spes non confundit)

Dov’è la mia speranza?
Quale grande dono ci viene fatto in questo anno di grazia: la possibilità di riappropriarci della speranza!
La liturgia ogni giorno ci ricorda che siamo un popolo in attesa, ma in attesa di cosa?
Lo sentiamo ripetere a ogni celebrazione eucaristica “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo!”.
Quante volte dimentichiamo che è questo ciò che noi speriamo, accontentandoci di altre piccole speranze.
Dopo i secoli di grande fiducia nella tecnica, l’uomo contemporaneo non ha più nulla in cui riporre le aspettative, e si accontenta delle briciole, si accontenta di tenere gli occhi bassi e andare avanti, nascondendo la sua paura della morte. Così si ritrova, come Giobbe, a chiedersi dove sia la sua speranza.
I discepoli di Gesù sono chiamati ad annunciare proprio a questo mondo che non tutto è perduto, che la morte non è la grande antagonista da cui nascondersi.
Se andiamo al nocciolo della nostra fede, ciò che davvero dovrebbe contraddistinguere il cristiano è questa speranza, dono per eccellenza dato al credente: “La nostra speranza non si regge su ragionamenti, previsioni e rassicurazioni umane; e si manifesta là dove non c’è più speranza, dove non c’è più niente in cui sperare”.
(Papa Francesco, udienza generale del 29.03.2017).